Durante le vacanze di Pasqua e i recenti ponti primaverili, alcune “destinazioni simbolo” italiane sono state nuovamente travolte da un’ondata di overtourism: pensiamo a Venezia, Firenze, le Cinque Terre, Capri, Amalfi, Portofino, Sirmione, il Lago di Garda.
Abbiamo visto code interminabili, strade di accesso bloccate, centri storici saturi, residenti esasperati, oltre che turisti e visitatori scontenti. E puntualmente, in risposta a tutto ciò sorgono articoli, commenti e dichiarazioni, che trattano l’introduzione di soluzioni come ticket di ingresso, tasse di soggiorno, o limiti temporanei.
La questione dell’overtourism purtroppo è trattata con troppa leggerezza: in realtà, in quasi tutti i casi, più che di una problematica di overtourism, si tratta di sovraffollamento, ovvero di overcrowding. In casi come le Cinque Terre, Sirmione, la Costiera Amalfitana, o Portofino, i flussi di visitatori-escursionisti si sono riversati in queste destinazioni aggiungendosi a quelli relativi a coloro che vi soggiornavano.
È precisamente questa leggerezza che fa immaginare soluzioni facili. Continuando ad illudersi che basti un biglietto per “fermare la piena”.
Tasse e ticket: placebo amministrativo
Ticket e tasse hanno una funzione economica e simbolica, ma non sono strumenti di gestione strategica del turismo. Essi servono a raccogliere fondi o a “tranquillizzare” l’opinione pubblica, ma non risolvono le vere cause dell’overtourism. E soprattutto, non modificano i comportamenti. Perché?
- Il turista non si ferma davanti a una tassa. Se ha già deciso di visitare Venezia, pagherà 5 o 10 euro in più. Cambierà orario, modalità, ma non rinuncerà. Immaginiamoci un turista intercontinentale: di certo non rinuncerà a visitare una delle destinazioni “must” in Italia perché deve pagare un ticket o una tassa di soggiorno. Anzi, il ticket può diventare quasi una medaglia da esibire.
- Non incide sulla permanenza. Il turista “mordi e fuggi” continua ad entrare e uscire in poche ore. Nessuna tassa lo trasforma in visitatore stanziale ma, al contrario, essa potrebbe addirittura evitare che spenda in caffe, gelato o pasti durante la sua visita.
- Non orienta i flussi. Il ticket regola l’accesso, ma non la distribuzione. Tutti continuano ad ammassarsi negli stessi luoghi, e negli stessi momenti.
- Scarica la responsabilità sul visitatore, ma non attiva strategie pubbliche reali. È una risposta di superficie a un problema sistemico.
Serve gestione, non controllo
Dobbiamo essere consapevoli che l’overtourism non si governa con divieti, ma con strategie e tattiche di gestione della destinazione:
- Organizzazione dei flussi: contingentamento, sistemi di prenotazione preventiva, stabilire percorsi obbligati, accordi con crociere, DMC e tour operator.
- Design dell’esperienza: proporre percorsi alternativi, esperienze diffuse, narrazioni nuove. Non si tratta solo di “decongestionare”, ma di riprogettare l’offerta.
- Data intelligence: conoscere in tempo reale i flussi, prevedere la domanda, calibrare servizi e accessi.
- Coinvolgimento del territorio: valorizzare le comunità ospitanti rendendole co-protagoniste, non vittime passive.
- Pianificazione integrata: turismo, mobilità, cultura e residenza devono dialogare. L’overtourism è un sintomo, non una causa.
Non servono soluzioni facili, ma visione
Pensare che basti un biglietto o una tassa per “salvare” una destinazione è una semplificazione pericolosa. È il tempo delle decisioni complesse, coraggiose, sistemiche. Non esistono soluzioni standard, perché ogni destinazione ha le sue caratteristiche, e le soluzioni tecniche devono essere su misura.
Chi gestisce una destinazione oggi ha una responsabilità enorme: non solo attrarre, ma proteggere. Non solo contare presenze, ma costruire valore.
E allora smettiamola di rincorrere “soluzioni tampone”. L’Italia merita un vero destination management, non un amministrativismo d’emergenza.
di Josep Ejarque