Il turismo globale ha superato da tempo la fase romantica, sebbene in Italia ciò non sia del tutto vero. Oggi il turismo è un settore complesso, iper-competitivo, attraversato da tensioni sociali, sfide ambientali e rivoluzioni tecnologiche. Eppure, ancora in troppi territori il turismo viene gestito con un mix letale di nostalgia e miopia. Ma quali dovrebbero essere le responsabilità di un destination manager? Piani strategici scritti per compiacere stakeholder locali, investimenti digitali ridotti a campagne social, e una sostenibilità di facciata utile solo a produrre brochure “green”. Insomma, progetti e pensieri belli sulla carta, ma che non passano il vaglio della domanda e dei turisti! Il risultato? Destinazioni che non governano il turismo, ma lo subiscono; territori che rincorrono i trend globali anziché anticiparli; operatori turistici in affanno; destinazioni che saranno incapaci di resistere; e sistemi turistici locali che continuano a ragionare come 10 anni fa. Se si vuole cambiare rotta, i destination manager devono abbandonare le logiche gestionali del passato, e costruire un modello radicalmente diverso, fondato su vision, coraggio e capacità di execution.
Promozione o Gestione?
Diverse sono le sfide che le destinazioni turistiche hanno davanti a sé – alcune già trattate in articoli precedenti – ma soprattutto continuo a vedere che molte destinazioni commettono un grande errore: confondere la promozione con la gestione. Nel 2025 è ancora comune vedere destinazioni che misurano il loro successo in followers su Instagram, articoli sulla stampa estera, e premi internazionali di marketing (ovviamente pagando). Nulla di male, se non fosse che sotto questa patina comunicativa, si intravedono residenti sempre più ostili ai visitatori, ecosistemi naturali e sociali in collasso, e un valore economico prodotto che viene drenato da OTA e piattaforme globali. Vediamo ancora come campagne marketing aggressive e l’esplosione di Airbnb abbiano generato un volume importante di posti letto in locazioni turistiche, ma provocando disequilibri e, in alcuni casi, overtourism fuori controllo. Domandiamoci se è solamente colpa di Airbnb, Booking, Ryanair e compagnia bella. Certamente in parte sì, ma dovremmo essere onesti e riconoscere che la promozione senza governance genera successi tossici, e se n’è fatta fin troppa!
La gestione Data Driven
Si parla tanto di dati e di gestione Data Driven, ma in realtà i dati si utilizzano poco. Domandiamoci se chi guida una destinazione può davvero permettersi di navigare ancora a vista. Molti territori usano ancora dati arretrati di 12-18 mesi, quando i trend globali si modificano in settimane. Tante destinazioni continuano a fare gli errori più comuni, affidandosi alle percezioni soggettive degli operatori locali e non integrando dati pubblici e privati (trasporti, biglietterie, flussi digitali). La tecnologia serve non solo alla promozione, ma soprattutto alla gestione. Ovviamente non pretendo che le destinazioni italiane facciano tutte come Amsterdam, che utilizza una piattaforma di data analytics per monitorare i flussi turistici in tempo reale, e deviare i visitatori da aree sature verso quartieri meno conosciuti. Ma di certo si tratta di un esempio di come i dati possano passare da “strumento di osservazione” a leva di gestione attiva.
Sostenibilità turistica autentica: marketing o governance?
Chiaramente apprezzerei se la sostenibilità passasse dall’essere semplice buzzword a leva competitiva, o meglio, che l’espressione “turismo sostenibile” non rimanesse solamente uno slogan. La verità è che la sostenibilità in una destinazione richiede scelte impopolari. Dall’avere il coraggio di determinare la capacità di carico, al limitare i flussi nei periodi di picco. E ancora, dal gestire i flussi turistici all’interno di una destinazione, al proteggere l’attrattività della destinazione con misure che evitino tensioni fra qualità di vita dei residenti e qualità dell’esperienza turistica. La chiave per una sostenibilità turistica autentica è considerare che non si tratta di marketing, ma di governance. In questo caso, tra le responsabilità di un destination manager rientra il saper introdurre non solo tasse e regolamentazioni, ma misure attive in grado di ridurre la pressione turistica e frenare un ipotetico degrado senza bloccare completamente la crescita.
La DMO va di moda?
Adesso vanno di moda le DMO, come se la loro semplice creazione fosse risolutiva per tutti i problemi. Spesso mi viene infatti espressa la volontà di costruire una DMO, e la mia risposta è: quale modello, DMO di terza, quarta o quinta generazione? Cioè una DMO, una DM&MO o una DDM&MO? E generalmente vengo guardato con occhi interdetti. In molti territori la gestione turistica continua ad essere frammentata: enti pubblici, DMO deboli, consorzi di categoria spesso in conflitto. Questo crea immobilismo, mancanza di visioni comuni, duplicazioni di spesa, incapacità di rispondere alle reali richieste della domanda e del mercato. La chiave non è avere una DMO, ma una governance unitaria. Una DMO non è uno strumento di governo politico del turismo, bensì uno strumento operativo che deve essere autorevole, tecnico, capace e ricco di risorse.
Il destination management di oggi
Nel destination management si sta imponendo un nuovo focus trasversale, che integri la gestione delle destinazioni turistiche con la sensibilità della comunità, e il bisogno di costruire modelli di gestione e promozione più equilibrati, sostenibili e inclusivi. La gestione turistica deve infatti abbandonare l’ossessione della crescita, e centrarsi su aspetti come il valore, l’equilibrio, il benessere dei turisti e dei residenti. Un buon destination manager oggi deve anticipare, non rincorrere. L’unico vantaggio competitivo per una destinazione, infatti, è essere sintonizzata con il territorio e con il mercato/domanda. Non si può continuare a rincorrere i trend con piani strategici “fotocopia”, né assecondare ogni domanda turistica per paura di perdere flussi. Per un destination manager è importante essere responsabile. I cambiamenti nel turismo, e le sfide che essi comportano per le destinazioni, obbligano sia i destination manager che le DMO ad assumersi una serie di responsabilità più ampie e strategiche.
Responsabilità di un destination manager
- La governance collaborativa: il turismo non può più essere gestito senza una visione trasversale della destinazione. E’ importante uscire dell’ufficio e osservare il territorio, i turisti e i residenti, attenti all’ascolto e alla co-creazione. Inoltre, è assolutamente necessario promuovere la collaborazione attiva fra gli stakeholder pubblici e privati della destinazione. Oggi non si tratta soltanto di attirare e catturare turisti, ma di capire la loro motivazione di viaggio, e come la loro presenza incide sul nostro territorio. Le destinazioni devono infatti fare attenzione a indicatori come la percezione cittadina verso il turismo, gli aspetti ambientali, l’equilibrio residenziale vs i posti letto turistici. In questo modo si potranno capire meglio le dinamiche turistiche locali.
- Quando si parla di innovazione e digitalizzazione, non si intendono soltanto social e big data, ma l’utilizzo della tecnologia per una gestione migliore. L’utilizzo strategico dei dati, dell’IA, dei sensori, delle analisi dei flussi e della mobilità, permettono alle destinazioni di migliorare l’esperienza dei turisti, gestire i flussi nelle destinazioni, anticipare i comportamenti, e pianificare una corretta gestione dell’ecosistema turistico locale.
- E’ poi fondamentale la costruzione del brand, partendo da identità e autenticità. Il brand oggi non è soltanto un logo, ma la narrativa di una destinazione che deve partire dal DNA della sua gente e cultura locale. Attenzione a fare uno storytelling che non corrisponde al DNA e alla proposta di valore della destinazione!
- Si parla tanto di overtourism, spesso a sproposito. Le destinazioni hanno bisogno che ci sia pianificazione e regolazione dei flussi turistici, gestendo anche la stagionalità, e cercando di ridurre gli episodi di massificazione. La sostenibilità non è un “per di più”, ma l’asse centrale della gestione turistica della destinazione.
- Infine, la diversificazione come sfida anteposta alla massificazione. Un buon destination manager sviluppa e mette a terra delle strategie per evitare la concentrazione turistica e l’overcrowding. Seppur difficile nel caso italiano, per mancanza di strumenti in mano delle amministrazioni locali, è importante avere sotto controllo l’eccesso di offerta di posti letto extralberghieri. Le piattaforme di home sharing, o simili come Airbnb, oltre ad aver generato flussi, in tante destinazioni hanno contribuito a disequilibri che cominciano ad essere difficilmente gestibili. E’ compito del destination manager garantire questo equilibrio.
Come conclusione, mi azzarderei a dire che governare operativamente il turismo non è un lusso, ma una responsabilità verso il futuro del territorio. Chi non è pronto ad assumersi questo compito, non dovrebbe definirsi destination manager.
di Josep Ejarque