DMO: Governare il turismo per custodire il futuro

La parola DMO sembra essere diventata di tendenza, come “esperienze”, “sostenibilità” e “governance” prima di lei. Nel nostro lavoro quotidiano di consulenza in questo campo, osserviamo che molti territori, sia locali che sovralocali, vogliono creare la propria DMO: alcuni la immaginano come una cabina di regia politica, altri come un comitato tecnico-scientifico, alcuni come uno strumento per accedere a contributi pubblici, e altri ancora come una semplice agenzia di promozione turistica.

Ma prima di creare una Destination Management Organization bisognerebbe chiedersi due cose:

  • A cosa serve una DMO?
  • Cos’è davvero e soprattutto cosa non è?

Una DMO non deve essere una scatola vuota o un mero strumento amministrativo. Deve essere uno strumento operativo, che serva a coordinare e gestire in modo integrato lo sviluppo turistico e la promozione di una destinazione. In poche righe, una DMO efficace definisce e applica strategie comuni per valorizzare territorio, identità e prodotti turistici. Serve per coordinare attori pubblici e privati per garantire coerenza e qualità nell’offerta. E ovviamente promuove la destinazione sui mercati, sviluppa prodotti turistici e migliora i servizi di accoglienza.

Spesso, tra gli operatori locali, la DMO viene erroneamente percepita come uno strumento di politica turistica. In realtà, non dovrebbe essere considerata un mezzo “politico”, bensì uno strumento concreto di governance turistica. La politica turistica rappresenta l’insieme delle scelte strategiche e degli orientamenti che un territorio decide di adottare per il proprio sviluppo turistico. Queste scelte, però, devono essere attuate e sviluppate attraverso un modello organizzativo e decisionale: è qui che entra in gioco la governance. La governance turistica, infatti, è l’insieme dell’architettura e dei meccanismi che permettono di tradurre la politica turistica in azioni efficaci e operative.

La “M”: il cuore dell’acronimo

Il nodo centrale sta tutto nella “M” di DMO. Non è Marketing, perché se fosse solo marketing, una DMO sarebbe poco più di un’agenzia di comunicazione, incaricata di fare campagne e attrarre visitatori. Una funzione importante, ma ad oggi parziale, seppur la più perseguita nelle DMO italiane. La “M” è anche Management. Una DMO autentica è un ente di gestione del turismo, che si occupa di governare un sistema complesso.

Consideriamo che fare management turistico in una destinazione significa in essenza:

  • pianificare i flussi, non solo promuoverli,
  • misurare impatti economici, sociali e ambientali,
  • coordinare istituzioni, operatori privati e comunità,
  • lavorare per garantire equilibrio tra visitatori e residenti.

In altre parole, la DMO non è un ufficio marketing, né anche un’agenzia di comunicazione/promozione. È un attore strategico di governance, con la missione di valorizzare, promuovere, coordinare e orientare lo sviluppo turistico di una destinazione, sia essa locale, sovralocale o regionale.

Cosa NON è una DMO

Ci sono diversi progetti e tentativi attuali in corso per creare delle DMO nella geografia italiana, con approcci e finalità molto diversi e spesso erronei. Per fare chiarezza ed evitare confusioni, è utile sfatare alcune delle idee sbagliate più comuni:

  • Una DMO non è una cabina di regia politica: la DMO non deve sostituirsi agli organi elettivi né diventare un’arena di spartizione di potere tra enti locali;
  • Una DMO non è un comitato scientifico: la ricerca e la consulenza sono importanti, ma una DMO non è un think tank; è un soggetto operativo con responsabilità concrete;
  • Una DMO non è un ufficio eventi o promozionale: organizzare fiere o campagne pubblicitarie è una parte del lavoro, non l’essenza;
  • Una DMO non deve essere un duplicato di enti già esistenti (se funzionano bene): deve avere una funzione chiara, evitando sovrapposizioni con consorzi, ATL, enti del turismo già attivi.

La DMO è, invece:
un soggetto di coordinamento che integra pubblico e privato, una piattaforma di governance per la gestione del turismo, una struttura tecnica che lavora con dati, strategie e strumenti,  un custode e valorizzatore del territorio, orientato al lungo periodo.

Fine della retorica: le DMO sono un concetto superato?

Alcuni sostengono che le DMO non abbiano più senso. Le Destination Marketing Organization nascono come strumento per coordinare promozione e gestione turistica di un territorio. Ma oggi, nell’epoca delle piattaforme digitali, dell’overtourism e della polarizzazione dei flussi, la semplice “organizzazione di promozione” non è più sufficiente. Le DMO così intese rischiano quindi di restare scatole burocratiche, lente e poco incisive, incapaci di rispondere a mercati che cambiano in tempo reale.

Il turismo contemporaneo non ha bisogno di enti che “promuovono”, ma di regie strategiche che governano ecosistemi complessi. Non basta comunicare: serve dare direzione. Le DMO del futuro devono trasformarsi in vere Destination Authority, cioè in organismi di coordinamento trasversale (pubblico, privato, residenti) con la capacità di decidere come orientare investimenti, narrazioni e flussi.

Il problema delle DMO è che troppo spesso vogliono rappresentare tutti e quindi non guidano nessuno. Troppi tavoli, troppi compromessi. Oggi servono modelli verticali, decisionali, autorevoli, capaci di stabilire priorità: chi attrarre, chi no; cosa valorizzare, cosa lasciare indietro. Senza questo salto, la governance resta paralizzata dall’equilibrismo.

Il turismo non è più un settore economico isolato: è un sistema trasversale interconnesso con urbanistica, mobilità, ambiente, identità culturale. Una DMO che si limita al marketing territoriale è irrilevante. La nuova governance deve orchestrare logiche di place making, branding territoriale e strategie di attrattività complessiva, uscendo dalla gabbia del “pensare come ente turistico”.

Arrivati a questo punto è chiaro che la “M” significa Management, e che la DMO è uno strumento per governare il turismo come sistema complesso, pianificare i flussi, non solo promuoverli, bilanciare bisogni di residenti e visitatori, misurare impatti economici, sociali e ambientali, prendere decisioni difficili per garantire equilibrio e futuro. Ma soprattutto, è chiaro che la DMO non deve essere un ufficio promo, non è un tavolo politico di spartizione, non è un comitato accademico senza responsabilità operative. È un soggetto di governance, una piattaforma di coordinamento pubblico-privato.

Oltre la DMO: la stewardship

Il passo successivo è la stewardship, cioè la valorizzazione e cura della destinazione territorio, come ricorda l’interessante white paper internazionale Navigating Your Stewardship Journey.

Secondo questo approccio, una DMO non è solo promotrice, ma protettrice, non si limita a gestire il presente, ma plasma il futuro, non agisce da sola, ma costruisce alleanze con comunità, istituzioni e imprese. Curiosamente ci sono dei casi in Italia di ottima strategia di “stewardship”, seppur inconsapevoli:

  • Venezia: difende la vivibilità dei residenti introducendo regolamentazioni,
  • le Dolomiti: limitano l’accesso a laghi e passi per tutelare ecosistemi,
  • Matera: ha usato il turismo culturale come leva di rigenerazione,
  • i borghi interni: cercano nuova vita attraverso progetti di turismo lento e distribuito,
  • Riomaggiore: contingentando i flussi nella sua principale attrazione vuole migliorare la vivibilità del borgo, con la volontà di proteggere paesaggi e comunità da pressioni eccessive,
  • Amalfi: con diverse misure, intende incrementare la sostenibilità dei flussi turistici dimostrando la volontà di proteggere l’eccessiva pressione turistica con limiti ai bus turistici e altre regolamentazioni.

Da DMO a steward

L’evoluzione del ruolo delle DMO ci porta a ricordare che la vera maturità delle DMO nelle destinazioni sta nel diventare “stewardship organizations”. Ciò significa:

  • riconoscere gli impatti del turismo, positivi e negativi,
  • farsi custodi del territorio, comunità, cultura e natura,
  • pensare non solo alla sostenibilità, ma alla rigenerazione,
  • adottare un approccio plastico che rechi benefici a turisti, residenti, ambiente ed economia locale

La stewardship, non è un concetto astratto: è la condizione per non “consumare” e svuotare l’essenza della destinazione, adottando modelli di gestione capaci di bilanciare bisogni di visitatori e residenti. Consideriamo che in Italia abbiamo un contesto particolare, che comporta rischi ma anche delle opportunità. Oltre a preoccuparsi della promozione, la DMO – e di conseguenza i destination manager –  devono considerare fattori come l’overtourism (città d’arte e attrazioni iconiche), lo spopolamento delle aree interne, le fragilità ecosistemiche (montagna, coste, lagune), oltre alla frammentazione istituzionale (competenze diffuse e talvolta sovrapposte).

Un destination manager deve avere chiari i quattro pilastri che guidano questo approccio: lavorare per generare prosperità economica diffusa, ovvero benefici equi per imprese e comunità, tutelare il territorio e l’identità della destinazione. Considerare il turismo come leva di inclusione e qualità della vita, e la sostenibilità, intesa come preservazione.

In Italia, la stewardship non è un concetto astratto: è una necessità urgente. Il nostro Paese vive contraddizioni evidenti. Per questo le DMO italiane devono essere molto più di semplici uffici di promozione turistica: devono essere strutture tecniche e strategiche, capaci di gestire le complessità e guidare un nuovo modello di turismo.

Il nuovo approccio

Il nodo principale in Italia resta la governance. Senza una chiara definizione di ruoli, le DMO rischiano di essere scatole vuote o duplicazioni. Serve un cambio di passo:

  • definire le DMO non solo come uffici marketing, ma anche come enti di management e stewardship,
  • dotarle di risorse, competenze e strumenti,
  • garantire continuità e risorse stabili,
  • superare frammentazioni e sovrapposizioni.

Oggi la sfida per le DMO italiane è duplice: da un lato darsi di una definizione chiara, evitando mode e fraintendimenti e dall’altro assumersi un ruolo coraggioso, andando oltre il marketing e abbracciando la stewardship.

Le destinazioni italiane hanno bisogno di nuove forme di governance, capaci di porre limiti quando il turismo supera la capacità di carico, di investire nella tutela di paesaggi e patrimoni, di coinvolgere i cittadini nelle scelte strategiche, di generare valore economico diffuso, non solo grandi numeri.

Il destino delle destinazioni italiane dipenderà da come interpreteremo quella lettera, la “M”, che fa tutta la differenza. Se la leggeremo come Marketing, resteremo intrappolati in logiche di promozione superficiale. Abbracciandola come Management, potremo davvero governare lo sviluppo turistico.

Se saremo capaci di fare il salto verso la Stewardship, diventeremo custodi del futuro, non semplici promotori del presente.

In questo modo, le DMO evolveranno in DM&MO – Destination Management & Marketing Organization.
Un soggetto che unisce le due funzioni:

  • Management: pianificazione, governance, stewardship, policy.
  • Marketing: promozione e comunicazione coerente con la strategia di gestione.

Non più due approcci separati, ma un modello integrato. Non un marketing scollegato dalla realtà, ma un marketing al servizio della gestione. Noi stiamo già lavorando da diversi anni con questo approccio nelle destinazioni che seguiamo.

Perché parlare di DM&MO

Il marketing non scompare: diventa conseguenza coerente del management. Per questo, in Italia, ha senso spingere il lessico verso DM&MO, considerando che l’ordine non altera il risultato ma la sostanza è Management prima: capacità di carico, piani dei flussi, tutela del patrimonio, coinvolgimento dei residenti, regole chiare, monitoraggio. Marketing dopo: narrazione, posizionamento e “domanda giusta” allineati agli obiettivi di gestione e stewardship.

In altre parole, il marketing non guida la strategia: la esegue. È così che si evita l’eterna rincorsa ai volumi e si lavora invece su valore, qualità e compatibilità.

Sono sicuro che molti non siano d’accordo, ma ritengo che sia necessario sfatare alcuni miti, come per esempio:

  • “La DMO è marketing”: No. Prima si gestisce, poi si promuove.
  • “Limitare gli accessi è anti-turistico.”: No è pro-territorio e pro-qualità, aiuta a proteggere risorse ed esperienze.
  • “La comunità non capisce”: Se ascoltata e coinvolta, diventa un alleato (e controllore naturale)
  • “Più arrivi = più ricchezza”: non è cosi, conta il valore trattenuto, non il volume

In conclusione, ai tanti progetti di DMO che bollono in pentola, mi permetto di dare dei suggerimenti:

  • Diventare vere DM&MO per essere efficaci
  • Dotarsi di un mandato chiaro e pluriennale, con KPI misurabili
  • Includere un board misto (enti, operatori, cultura, residenti)
  • Avere unità operative dedicate a pianificazione, dati, comunità, ambiente, prodotto, marketing
  • Dotarsi di strumenti concreti:
    • piani di gestione triennali,
    • sistemi di prenotazione nei siti fragili,
    • osservatori turistici integrati,
    • codici del visitatore,
    • accordi di filiera,
    • reinvestimento dell’imposta di soggiorno in tutela e rigenerazione.